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LO STRAPPO Un percorso di educazione alla cittadinanza per scuole e associazioni
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230
recensioni

Fabiola Pia Prota
Lunedì 13 Mar 2023
Questo documentario è particolarmente interessante e fa anche riflettere molto!
In questo documentario vengono analizzati i vari punti di vista di persone che ruotano attorno al reato. Credo inoltre che coloro che commettono determinati reati non si rendono conto di ciò che stanno distruggendo,non si rendono conto soprattutto della sofferenza e la rabbia che stanno provocando ai familiari delle vittime. Ritengo inoltre che chi commette un reato anziché meditare sullo sbaglio che ha commesso, anziché avviare un percorso di rieducazione, si sente vittima.
Penso bisognerebbe avere la consapevolezza dell'errore commesso per avviare un percorso rieducativo e tutto ciò spesse volte non avviene. Queste figure richiedono maggiore attenzione e bisognerebbe far ragionare e portare il soggetto errante a cambiare prospettiva per poterlo inserire nuovamente in una versione migliore nella società. Il carcere è una struttura che può dare la possibilità di cambiare, insegna a modificare determinati comportamenti e non agire e trasgredire con violenza, dando al soggetto errante maggiore autocontrollo e soprattutto una speranza nel cambiamento.
Ammendola Michael
Lunedì 13 Mar 2023
Documentario molto interessante, che analizza le singole figure del "reato". Possiamo notare come il magistrato di sorveglianza dal suo punto di vista, presenta senso di colpa perché si sente responsabile nell' arrecare dispiacere al soggetto attivo e ai familiari nel momento in cui andrà ad emanare una condanna.
il reato poi si trasforma in vittima poiché non gli vengono riconosciuti i principi costituzionali sanciti (dall'art.27 cost.) che dovrebbe tendere alla rieducazione ma bensì viene soltanto rinchiuso per scontare la pena uscendone poi ancora più inaciditi e senza aver capito il vero senso della pena.
Puleo Giorgia
Lunedì 13 Mar 2023
Questo documentario è molto interessante e fa riflettere molto. Un detenuto afferma che spesso i criminali non danno valore nemmeno alla loro vita, quindi non riescono a vedere i valori di altri esseri umani; il loro "perno vitale" è la loro sopravvivenza.
Nel momento in cui compiono reati, e producono vittime, molti di loro sono inconsapevoli di ciò che fanno...si rendono conto dell'esistenza di vittime quando si ritrovano negli istituti penitenziari e vengono affrontati questi argomenti.
Quello che attira molto la mia attenzione è ciò che dice un detenuto riguardo la pena che devono scontare: egli mette in evidenza il fatto che una persona, alla quale è stata data una condanna, vuole avere la possibilità di tornare ad essere una PERSONA, in quanto, in caso contrario, quella persona, terminata la condanna, tornerà a fare gli stessi errori. Proprio per questo motivo c’è il bisogno di mettere in atto un programma trattamentale individualizzato che consenta il loro reinserimento sociale.
Nel documentario viene trattato il reato come qualcosa che derivi dal disagio della società...questo si può ricollegare con il famoso sociologo Durkheim, il quale riteneva che il comportamento criminale fosse dato dalla società.
Ogni essere umano è in grado di cambiare la propria vita. Certamente è importante avere le condizioni che lo permettano. I ristretti non devono essere lasciati isolati, se no non si realizzerebbe quello che è l'obiettivo della detenzione!
Viviana Volpe
Domenica 12 Mar 2023
Vittima e carnefice, due facce della stessa medaglia.
Due poli che si intersecano ma, chi è vittima e chi carnefice? La linea è sottile, sono tutte vittime dinanzi ad una violenza inspiegabile. Non si sceglie di essere vittime ma al contrario, si può scegliere di essere carnefice e ciò può dipendere anche da una serie di fattori esterni. Quando si verifica una trasgressione l’attenzione pubblica e mediatica si amplifica, ci si sofferma sull’atto, sulle vittime e si cerca di psicanalizzare il carnefice.
L’attenzione però si limita a quel frangente di tempo e nessuno si interroga su come cercano di andare avanti, nonostante quello “strappo” nella propria vita. Questo documentario, a parer mio, è molto interessante proprio perché mette in evidenza ciò che accade nel momento in cui si commette un reato, basandosi su quattro punti di vista fondamentali, ovvero il carnefice, la vittima, il lavoro dei mass media e il lavoro di chi amministra la giustizia e va "oltre".
Ci sono molti punti che mi hanno colpito e mi hanno fatto riflettere, tra questi ci sono le testimonianze delle vittime o meglio il trauma e le parole dei detenuti poichè alcuni hanno affermato che si sono resi conto della gravità del reato o della presenza di una vittima solo in carcere. Inoltre, penso che ci dovrebbe essere una maggiore conoscenza da parte della collettività sul contesto carcerario poiché se ne parla poco e negativamente e questo documentario potrebbe essere uno strumento valido e innovativo.
luciano fortini allievo vice isp.
Giovedì 30 Giu 2022
Per la mia esperienza personale posso dire che le azioni di ognuno hanno prima un motivo di base, che nel caso di eventi critici a volte dipendono da un interpretazione sbagliata della situazione. .Anche perché da esperienza spesso io da agente assistente pur avendo lavorato in istituti medio e piccoli non riuscivo a cogliere subito o abbastanza in anticipo il segnale del detenuto. Che peraltro il piu delle volte è concentrato su se stesso o all'opposto sull'amministrazione come se non riuscisse a vedere tutti i lati di una determinata situazione. Ma ho il rammarico dove non sono riuscito a segnalare in tempo a superiori educatori o addetti ad infermeria situazioni poi degenerate vedi ad esempio suicidio.
Federico
Martedì 28 Giu 2022
Documentario senza dubbio interessante, che analizza le singole figure che ruotano attorno al "reato". La condizione della vittima è quella che con il proprio carico emotivo lascia senza parole. Le esperienze riportate sono estreme e non possono che condurre ad un senso di rabbia, per quello che hanno subito, per la poca importanza che hanno all'interno del procedimento penale e per il poco rispetto dei media, che vogliono solo spettacolarizzare la cosa. I professionisti della giustizia, d'altra parte, esprimono frustrazione ed amarezza. Tale condizione, col passare degli anni, sfocia nella rassegnazione di fronte ad un sistema che non fornisce tutti gli strumenti necessari. Poi c'è il reo, colui che con il proprio comportamento ha creato le “vittime del reato”, ma che al tempo stesso si sente vittima. Il nostro sistema d'altronde riconosce loro questa condizione. L'art. 27 della Costituzione prevede che la pena deve tendere alla rieducazione, senza alcun riferimento al carattere afflittivo della pena e per questo la vittima ha solo un ruolo marginale. Infine, relativamente all'esperienza dello scrivente, fa riflettere come ogni operatore della giustizia debba fare riferimento al reato commesso, ogni volta che esprimere un parere sul soggetto, mentre l'Agente di Polizia penitenziaria può anche non conoscere il reato commesso. Anzi tale condizione è spesso auspicata, in modo da garantire a tutti lo stesso trattamento, scevri da qualsivoglia coinvolgimento emotivo.
Allievo V.I. Nucleo Genova Carmine Sasso
Sabato 25 Giu 2022
Integrazione... Risale agli inizi della mia esperienza lavorativa da agente penitenziario il mio incancellabile ricordo di un “contatto” inaspettato ed improvviso o meglio ancora dell’ ”impatto” con le parole di un detenuto giovane come me ma che contrapponeva al mio impegno pieno di aspettative per il futuro la sua delusione che mi lasciava senza fiato. Era in quell’istituto da cinque anni e ne avrebbe trascorso altri cinque… mi si è avvicinato con una banale scusa per chiedermi delle informazioni in merito alle attività ricreative fruibili dai detenuti; in quel momento capii subito che dietro la sua richiesta di informazioni c’era dell’altro pur rivestendo i panni dell’agente novello alle prime armi: era chiaro che lui vedesse in me qualcuno con cui parlare perché ne aveva “bisogno”! Ne avvenne un breve colloquio di pochi minuti dal quale percepii senza troppa fatica la frustrazione del peso della sua condanna che traspariva dal suo volto e dalle mezze parole che alternava a piccole pause dettate dalla paura di “rivelarsi” troppo ad una persona estranea. La cosa che più mi lasciò senza parole fu l’ultima sua battuta prima della fine della conversazione: “soffro soprattutto perché non riesco a dare un senso al fatto che ancora oggi un uomo che commette un reato possa essere tenuto per tanto tempo “RELEGATO” tra quattro mura! Ecco, durante la visione del documentario è stato come se avessi riascoltato queste stesse parole pronunciate oggi da uno dei detenuti intervistati.
Allievo V. Ispettore n. Genova Giovanni T.
Sabato 25 Giu 2022
Ad integrazione di quanto già scritto nel precedente post si porta a conoscenza della propria esperienza personale con alcuni dei detenuti intervistati, che facevano parte del gruppo della trasgressione, nello specifico si fa riferimento al fatto che loro stessi si sentono vittime del sistema penitenziario VITTIME-CRIMINALI-DETENUTI-VITTIME come uno degli intervistati diceva nel video, quasi giustificano il reo che a sua volta aveva commesso “Vittima nella Vittima”. “Il detenuto che afferma di sentirsi Vittima”, come dice il Magistrato Dott. Cossia nel video le vere Vittime sono i familiari dei detenuti che stanno a casa che subiscono indirettamente tutti i disagi causati dal proprio marito o figlio che sta in carcere.
Allievo Vice Ispettore Nucleo Genova Vittorio D.B.
Sabato 25 Giu 2022
Ad integrazione del commento precedente, per esperienze vissute posso dire che, anche dopo del tempo passato in un istituto penitenziario, alcune persone non riescono ad elaborare un percorso sull’importanza della vita, in quanto creano delle situazioni di pericolosità per la loro stessa vita, per la vita degli altri detenuti e del personale che deve intervenire e gestire in poco tempo con lucidità l’evento, evitando ulteriori “vittime”.
Allievo Vice Ispettore Funaro Antonio - Nucleo Genova
Sabato 25 Giu 2022
Ad integrazione del mio precedente intervento volevo aggiungere un contributo in base alla mia esperienza per quanto riguarda il lamentato abbandono del sistema penitenziario da parte del detenuto.Ebbene personalmente ho lavorato per qualche tempo nell'area trattamentale-educativa occupandomi concretamente dell'organizzazione di molti progetti trattamentali e devo dire che almeno in un istituto grande come quello nel quale ho lavorato posso dire che le attività trattamentali organizzate sono ampie,variegate e di notevole interesse pertanto non posso che trovarmi in disaccordo,non noto affatto questo abbandono anzi tutt'altro,onestamente devo però ammettere che non conosco la situazione di realtà più piccole dove forse potrà rilevarsi qualche criticità al riguardo,semmai un aspetto nel quale si dovrebbe intervenire è un ampliamento dell'organico degli educatori.Avendo lavorato anche negli uffici della Procura posso in base alla mia esperienza confermare le criticità citate dal magistrato, effettivamente ho potuto riscontrare una cronica carenza di personale che rallenta molto le attività giudiziarie.Resta il fatto che carenze di organico a parte le possibilità di una buona riuscita del trattamento secondo il mio parere è tutta nelle mani del detenuto e della sua effettiva indole e collaborazione alla rieducazione,avendo anche concretamente partecipato alla stesura di molti programmi di trattamento ho potuto verificare il successo di alcuni come il fallimento di tanti altri.
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