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LO STRAPPO Un percorso di educazione alla cittadinanza per scuole e associazioni
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recensioni

allievo V.Isp. nucleo Genova Vittorio D.B.
Domenica 19 Giu 2022
Dopo aver visto il documentario, ritengo personalmente, che nell'ambito della commissione di un reato tutti gli attori siano un po' "vittime”. Dalla vittima in senso stretto che subisce il reato perdendo un bene o la vita, ai familiari della stessa che nei casi peggiori vivono con il ricordo e con la rabbia di non poter più stare vicino ai propri affetti. Anche gli autori del reato, che non hanno avuto gli strumenti necessari per affrontare la vita nel rispetto della legge, spesso non si rendono conto dei gesti che fanno, perché a loro volta non hanno cura della propria vita e non riescono a capire il male che possa creare ogni loro azione volta alla commissione di un reato. Anche le famiglie di questi ultimi, che in molti casi fanno di tutto per vedere il proprio congiunto libero prima possibile, magari pagando di tasca propria gli avvocati per garantirgli una migliore difesa. Per quanto riguarda i professionisti della giustizia possono essere anche loro considerati vittime di un sistema che non permette di lavorare al meglio provocando un arretrato di lavoro eccessivo causato anche dalla carenza di personale, infatti la giustizia italiana come detto nel documentario si era classificata al 156° posto su 181 paesi nel mondo.
Allievo Vice Ispettore Funaro Antonio - Nucleo Genova
Venerdì 17 Giu 2022
L'aspetto che ho trovato maggiormente interessante nel documentario è la rappresentazione della differenza netta di valore che la fattispecie criminosa assume dal punto di vista dell'autore rispetto a chi invece ne è rimasto vittima. Dalle parole del detenuto intervistato viene fuori una descrizione da manuale di quello che è il tratto psicologico di chi è dedito al crimine, ci spiega che la sua assenza di valori, riferendosi al preciso periodo in cui era dedito compiere attività criminose, gli impedisce di cogliere le gravi conseguenze cagionate alle vittime dei propri reati, la vita umana stessa è priva di valori per il criminale incallito. L'evento criminoso è quindi la normalità per chi ne è dedito, mentre per chi lo subisce rappresenta invece uno sconvolgimento assoluto della propria esistenza, uno "strappo" per rimanere in tema con il documentario. Personalmente non so se fosse il reale intento del documentario, ma in conclusione sembrano venire fuori molteplici figure di quelle che possiamo definire "vittime" sotto diversi profili. Quindi non solamente la vittima che ha subito la sofferenza del reato, ma ad esempio il detenuto stesso che si sente vittima di un sistema che a suo dire lo ha abbandonato, poi emerge la figura del magistrato di sorveglianza "vittima" che lamenta mancanza di strumenti fornitigli dal sistema giustizia per poter svolgere con più efficacia il proprio ruolo.
Allievo V.Isp SIGNORE Eugenio
Venerdì 17 Giu 2022
Video molto interessante che mette in luce le diversi aspetti della reazione umana nel momento in cui avviene il reato. Nel video possiamo notare come per il criminale questo sia un evento ordinario della propria vita e quindi non prova nessun rimorso nei confronti di chi è vittima del suo comportamento dall'altra parte invece abbiamo la vittima per la quale questo è un evento inaspettato e causa una condizione di trauma che varia da persona a persona, c'è chi a distanza di anni non è riuscita ancora capacitarsi di quel che è successo, c'è chi prova rabbia dicendo che non avrebbe mai perdonato chi ha causato tutto quel dolore, chi si colpevolizza del fatto che avrebbe potuto fare qualcosa in più per proteggere la persona che li era accanto. A sua volte il criminale riconosce come vittime non chi ha subito il fatto ma la famiglia, mogli figli bambini padri madri che pagano per gli errori commessi da un soggetto al quale la società non ha saputo dare aiuto offrire una via d'uscita e che magari l'ha abbandonato in un carcere senza possibilità di intraprendere un percorso che lo reinserisca all'interno del tessuto sociale una volta scontata la pena, quindi a sua volta si sente vittima dello Stato.
Allievo Vice Ispettore Piccolo Pasquale
Giovedì 16 Giu 2022
Visionando il filmato emerge che quando avviene un reato si colpisce il tessuto sociale nelle vite di chi lo commette e di chi ne è vittima. Rispetto al reato emerge un prima (in cui si verifica una carenza di riconoscimento della sofferenza dell'altro dalla quale il soggetto trae soddisfazione) e un dopo (costituito attraverso il percorso detentivo dalla presa di coscienza dello stretto contatto tra la vittima ed il carnefice che provoca una lacerazione sia nel reo che nella vittima). Tale lacerazione, nel percorso detentivo, può trovare uno spazio di riflessione attraverso il quale vi è un'assunzione di responsabilità degli avvenimenti accaduti e il riconoscimento dell'altro. Nella vittima e nei propri familiari si sperimentano una gamma di sentimenti che passano dall'odio al desiderio che il processo commissioni una giusta punizione e, in tempi più o meno brevi, accade che il desiderio di giustizia si trasformi nel desiderio che il reo possa sviluppare la coscienza della perdita causata. In tal senso sarebbe auspicabile che ci fossero degli interventi mirati volti a favorire la presa di coscienza del danno causato da parte del reo per stabilire una relazione riparativa con l'altro. E' importante sviluppare programmi anche sul personale che lavora direttamente a contatto con il deviante per facilitare la diminuzione dei livelli di rabbia e pregiudizio sviluppando una diversa ottica rispetto all'uso degli stereotipi proposti dalla società.
All.vo Vic.Isp. ACANFORA Mario
Giovedì 16 Giu 2022
Il tema della vittima è il punto che ha attirato la mia attenzione. Ciascun protagonista del video, così come accade nella vita quotidiana, si sente di essere vittima di qualcosa. Anche l'autore del reato, dal suo punto di vista si è sentito "costretto" a commettere dei reati perché spinto dalla società che lo circonda, dal sentirsi solo o da elementi di necessità per sopravvivere (es. procurarsi da vivere) o anche da rabbia e gelosia. Inoltre si genera un sentimento di frustrazione nel comprendere che la vera vittima, chi subisce il reato, è una semplice comparsa nel procedimento penale prima, e nell'esecuzione penale dopo. E la mancanza di risorse e un buon dispiegamento delle stesse contribuisce a rendere l'intero sistema giustizia blando e poco credibile, sia dall'interno (reo) sia dall'esterno (soggetto passivo e opinione pubblica). Una pena certa, anche breve, ma data in tempi rapidissimi e immediatamente eseguita, anche per reati considerati di basso allarme sociale, difenderebbe non solo le eventuali vittime di reati ma anche gli autori stessi, fungendo in maniera più efficace da deterrente.
All.V.Isp. Pol Pen . Trovato Alessandro
Giovedì 16 Giu 2022
Vedendo il documentario gli elementi che più mi hanno fatto riflettere sono stati : Il tempo, il presente, il futuro. Un tempo, che per i familiari della vittima è come se si fosse fermato a quell'attimo, un momento quasi distorto, della loro vita vita, in attesa ancora di un chiarimento, di un "Perché" o in altri casi ,di un senso di giustizia vera e propria ancora non appagato. E poi il reo, l'autore del fatto, sospeso in una società ed in una realtà a cui rimane spesse volte distaccato, come se vivesse in altra dimensione poiché non riconosce nulla di quella in cui esso vive. Un presente che per i familiari delle vittime si trasforma in un logorio continuo, spesse volte in attesa di un chiarimento, di una parola di conforto da parte delle autorità, di giustizia. Private, di una presenza affettiva per il resto della loro vita si ritrovano spesse volte a rivivere quell'attimo, quegli interminabili momenti, che di volta in volta, riemergono al minimo stimolo. E il punto di vista del reo nel suo presente, impegnato nella riflessione, in un processo di conoscenza di se stesso e di ciò che gli sta intorno, al fine di portarlo alla ragione e fargli comprendere l'atto compiuto. Ed infine una visione sul futuro, dove i familiari della vittima trovano spesso una speranza, per chi aspetta giustizia o anche solo una giustificazione a quell'atto e per il reo che afferma "non ci sta crescita se non c'è un punto su cui riflettere" dopo ciò, il pentimento perpetuo introspettivo.
All. V.I. Rosanna Trisolini
Giovedì 16 Giu 2022
Dopo aver visto questo documentario, ritengo bisogna fare un lavoro di “pensiero laterale” per la sua analisi. I vari contributi sono stati una tempesta di emozioni proprio per la diversità di storie narrate. Non basta immedesimarsi nell’altro ma bisogna “spogliarsi” dei ruoli dei vissuti di ognuno per capire il punto di vista dell’altro, e guardare le situazioni di lato e aggiungerei anche dall’alto per avere una visione più critica e scevra dalle proprie esperienze. Il detenuto, come lui stesso dice nel video, cresciuto senza valori verso l’altro non riconoscere l’altro come vittima. Lui stesso si ritiene vittima di quel sistema che non gli ha dato strumenti necessari affinché potesse crescere con valori sani. Questo suo riconoscerlo, ritengo sia già un successo per il processo rieducativo che deve partire da analisi interiore prima di tutto. Il riconoscere che gli stessi suoi familiari sono vittime di questi errori è già una briciola verso il cambiamento a cui il sistema carcere è chiamato a promuovere e a crederci. I
All. V.Isp Pol. Pen. Rocco Tiziana
Giovedì 16 Giu 2022
Nel visionare il docufilm sono stati due gli elementi che hanno carpito la mia attenzione: il tempo e le emozioni. Il come la linea del tempo possa essere spezzata, fratturata in qualunque istante costringendo a vivere, nel caso delle vittime, con la presenza costante di dolore, rabbia, incredulità ed uno sguardo attento, preciso, minuzioso verso il passato; Come lo stesso tempo possa essere percepito quale ingiusto, inutile, crudele da parte del reo nel suo vuoto emozionale, incapace di dare valore a sè e all'altro; infine l'operatore giudiziario (Mag. di Sorv) alla ricerca costante di equilibrio tra la giustizia e a volte sensi di colpa, in un tempo spesso vissuto anche con irrequietezza. Tutto ciò in un unico sistema che si spende e si impegna non di certo intorno alla vittima la quale resta con le sue emozioni, alla ricerca costante di "giustizia" perchè quella frattura subita sia riequilibrata, bensì intorno al reo con l'arduo compito di modificare la struttura della persona. Ebbene strutture così imponenti non si possono modificare, a mio parere, ma occorre destrutturare, occorre lavorare per cogliere il significato, valore che le emozioni hanno, attraverso un profondo lavoro di consapevolezza del sè e di sè. Questa è la sfida che l'art 27 Cost impone e a cui il sistema è chiamato a rispondere in maniera efficace con tutti i suoi operatori nel rispetto dei singoli ruoli.
A.I. Andare Giovanni MAIO
Mercoledì 15 Giu 2022
Uno dei punti che ha particolarmente ha attirato la mia attenzione ,nel video che c'è stato sottoposto ,è stato sicuramente il senso di colpa . il senso di colpa viene descritto come un sentimento che accomuna tutti i soggetti del filmato,e ogni soggetto a sua volta lo vive in modo del tutto diverso in base al ruolo che ricopre. Analizzando ruolo per ruolo vediamo come: -il magistrato di sorveglianza dal suo punto di vista, presenta senso di colpa perché si sente responsabile nell' arrecare dispiacere al reo e ai familiari del reo, nel momento in cui andrà ad emanare una sentenza di condanna ,o allo stesso tempo si sentirà responsabile nel momento in cui dovrà far uscire dall'istituto il reo(per una serie di motivazioni..)non essendo certo che quel soggetto ,una volta libero non commetterà ancora lo stesso reato. -la famiglia della vittima sviluppa un senso di colpa che perdura nel tempo, per non aver fatto nulla al fine di evitare l'accaduto,e quindi per non aver difeso il parente.In alcuni casi il senso di colpa dei familiari tende ad aumenta quando ritengono di non aver "ottenuto giustizia ". -i familiari del reo ,provano senso di colpa...i genitori in particolar modo ,per non essere riusciti ad evitare la condanna del figlio, e spesso sottovalutano o sminuiscono notevolmente il reato stesso;il coniuge prova senso di colpa nei confronti del compagno per non averlo aiutato, e dei figli che si troveranno a crescere senza una figura genitoriale. -il reo potrà prov
Salvatore Napoli
Mercoledì 15 Giu 2022
In merito al documentario visto, condivido il pensiero del giornalista Paolo Foschini, anch'io per lungo tempo mi sono domandato il perché i media si interessino delle vittime di reato e delle conseguenze che questo ha provocato sulle famiglie, solo al momento della commissione di un reato o durante il processo, per poi spegnere i riflettori a processo finito. Durante la mia esperienza lavorativa presso l'istituto di Bollate ho preso parte a un progetto, simile a quello del gruppo trasgressione, chiamato "D.E.V.I.L.S.", acronimo di detenuti vicino le scuole, dove i detenuti, con la presenza di un poliziotto e di una criminologa, portavano le proprie esperienze di vita delinquenziale e si mettevano in discussione parlando di devianza, del proprio reato e delle conseguenze che tale reato aveva avuto in loro , sulle proprie famiglie e sulle vittime del reato. Ho potuto constatare la partecipazione attiva a mettersi a nudo davanti a sconosciuti e della sincerità di ammettere i propri errori e il dolore che avevano provocato a causa delle loro azioni. Ciò è stato possibile perché durante il periodo di detenzione è stato fatto un lavoro sulla persona detenuta, un percorso trattamentale efficace di revisione critica del proprio reato, fornendo al detenuto gli strumenti necessari per farlo riflette su chi era prima del reato e chi sarebbe potuto diventare ultimata la pena.
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