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LO STRAPPO Un percorso di educazione alla cittadinanza per scuole e associazioni
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230
recensioni

Alliev. V. Isp. Carrano Umberto
Martedì 14 Giu 2022
Documentario interessante che rappresenta diverse realtà a seguito di reati quali (Vittime, aggressori, opinione pubblica e magistratura ) . Chi commette reati (aggressore poi detenuto) fuori dal carcere non ha sensi di colpa atteggiamento che muta con l'ingresso in carcere . Le vittime purtroppo da come si evince dalla narrazione del giornalista sembra far capire ci sia poca attenzione nei loro confronti sè non nelle occasioni delle giornate dei processi o di sentenze .... cosa molto grave secondo il mio punto di vista . Si intende che il sistema penitenziario nazionale (mondo carcere) ha ancora molte lacune per la rieducazione (che con difficoltà in bassissime percentuali avviene ) ed il reinserimento del detenuto. Gran coraggio delle vittime aver affrontato il tempo trascorso con senso di vuoto ed in alcuni casi di ingiustizia.
Allievo vice-ispettore Maurizio Mariano Nucleo Venezia
Martedì 14 Giu 2022
Gli stralci di questo documentario, diviso in quattro sezioni distinte (da qui “quattro chiacchiere sul crimine”), ma dialoganti tra loro – vittime, rei, operatori di giustizia e rieducazione, operatori mediatici – sono il punto di partenza di un percorso tutt’altro che facile o scontato: quello all’interno delle menti e dei sentimenti di chi commette e subisce reati atroci, ma anche quello della Giustizia Riparativa e del dialogo tra vittima e carnefice, faticosamente, lentamente costruito, eppure ancora possibile dopo tanta sofferenza.
All.vo V.ce Isp.re Domenico MUSCI
Martedì 14 Giu 2022
- Il documentario è stato molto interessante, con moltleplici punti di vista, da parte dei vari soggetti, come reo e vittima, per il reo si sente vittima della sua condizzione attuale che è da attribuirsi al suo contesto sociale di provvenienza, mentre per le vittime dirette o indirette(famigliari), oltre al trauma e al senso di vuoto lasciato dalla perdita della vittima diretta, si percepisce il senso di giustizia in modo diverso in base all'evoluzione processuale, come appagato e chi dopo anni non ha ancora risposte dalla giustizia. Per quanto riguarda le persone del contesto sociale non che i giornalisti, con i loro racconti, influenzato la vita giornaliera della vittima inducendola anche a commettere delle azioni non volute. si evince che il reo detenuto, non ha molte possibilità di inserimento e risocializzazione con il mondo esterno come previsto , dovute al contesto e struttura carceraria dov'è ristretto, preoccupandosi, per il futuro all'atto della scarcerazione impattandosi con il mondo esterno. - in conclusione per le attività utili per il detenuto in carcere, bisogna aumentare le attività intramurarie e extra murarie per i detenuti (corsi di f., lavoro, gruppi di ascolto ed altre attività detite al rinserimento sociale per consentire loro, di essere impegnati nell'arco della giornata detentiva, sentirsi utili per se stessi e tutta la società.
Allievo Vice Ispettore di P.P. PIRULLI B.
Martedì 14 Giu 2022
Documentario senza dubbio interessante, che analizza le singole figure che ruotano attorno al "reato". La condizione della vittima è quella che con il proprio carico emotivo lascia senza parole. Le esperienze riportate sono estreme e non possono che condurre ad un senso di rabbia, per quello che hanno subito, per la poca importanza che hanno all'interno del procedimento penale e per il poco rispetto dei media, che vogliono solo spettacolarizzare la cosa. I professionisti della giustizia, d'altra parte, esprimono frustrazione ed amarezza. Tale condizione, col passare degli anni, sfocia nella rassegnazione di fronte ad un sistema che non fornisce tutti gli strumenti necessari. Poi c'è il reo, colui che con il proprio comportamento ha creato le “vittime del reato”, ma che al tempo stesso si sente vittima. Il nostro sistema d'altronde riconosce loro questa condizione. L'art. 27 della Costituzione prevede che la pena deve tendere alla rieducazione, senza alcun riferimento al carattere afflittivo della pena e per questo la vittima ha solo un ruolo marginale. Infine, relativamente all'esperienza dello scrivente, fa riflettere come ogni operatore della giustizia debba fare riferimento al reato commesso, ogni volta che esprimere un parere sul soggetto, mentre l'Agente di Polizia penitenziaria può anche non conoscere il reato commesso. Anzi tale condizione è spesso auspicata, in modo da garantire a tutti lo stesso trattamento, scevri da qualsivoglia coinvolgimento emotivo.
GILBERTO SOLAZZI
Martedì 14 Giu 2022
Allievo V.Isp. SOLAZZI G. Dopo aver visto il documentario come si suole dire "c'è molta carne al fuoco" in particolare mi ha colpito che vi è una dialettica intorno alla vittima che subisce un fatto reato cioè vittima che lede la sensibilità di una persona in particolare mi riferisco al fatto di mafia ovvero la strage di mafia a Trapani dove rimangono vittime persone mediante una autobomba.Tentare di penetrare in una maglia complessa del fenomeno mafia in carcere non è una situazione semplice a comprendere quel vertice psicologico e criminale del soggetto.Tale analisi nella mia esperienza lavorativa ha permesso di cogliere elementi e spunti di riflessione sono vari ad esempio a partire dagli atteggiamenti e dall'approccio con cui affrontano la detenzione i vari esponenti dei clan di mafia. Ricordo uno degli aspetti e il modo particolare come si presentano attenti alla cura della persona disciplinati e attenti alle regole penitenziarie, dando così una forte immagine di contrasto nel luogo in cui essi si trovano. Le varie tipologie dei detenuti comuni presentano delle criticità durante l'espiazione della pena al contrario loro mostrano serenità scioltezza nel muoversi all'interno del penitenziario. A fronte di questo atteggiamento di spavalderia si arriva a una percezione a parer mio di un radicale difetto di autostima. Per concludere per questa organizzazione l'impunità ha un motivo importante, è quel segno relativo al prestigio della persona quali l'onore la sovranità.
andrea DI GIOVANNI
Martedì 14 Giu 2022
l'aggressore durante il suo delinquere non ha contezza del male che provoca alla vittima, perchè è accecato da un'egoismo di sopravvivenza, molto spesso indotto dalle condizioni sociali di origine, famiglie disgregate, abbandono, maltrattamenti, luogo di residenza se frequentato da altre persone delinquenti. la vittima rimane nel tempo in una condizione di stress da violenza che spesso non riesce a trovare altra soluzione che vedere in carcere il suo aggressore. L'operatore di giustizia deve trattare la persona indicando la giusta via dettata dalle regole che sono strumenti indispensabili ma non sufficienti, per dare al soggetto un aiuto, una speranza di cambiamento. Le motivazioni alla commissione di reati sono evidenti, non riuscire da parte della persona a vedere oltre quelle azioni, sempre per problemi legati all'ambiente circostante e a volte per necessità, vedendosi abbandonato e senza altra soluzione. chi è riuscito ad intraprendere un percorso che gli ha dato la possibilità di cambiare riesce a guardare indietro e vedere cio' che ha fatto di male ed anche immedesimarsi nella sua vittima. il futuro della vittima rimane segnato da una ferita indelebile che è tanto più grande quanto piu' grave è il reato subito. Per la persona che ha commesso il reato solo dopo essere guarito e ritornato al mondo avrà consapevolezza e senso di colpa, per la vittima rimane la domanda perchè a me !! che motivo c'era. Potenziare o rivedere l'intero impianto per la riabilitazione.
Allievo V.Isp. L.D. nucleo Genova
Martedì 14 Giu 2022
La visione di questo documentario ci fornisce degli elementi utili a constatare che, nonostante il decorso degli anni, degli eventi ed ahimè delle tragedie, nessuna giustizia "riparativa" potrà mai risarcire moralmente e spiritualmente le vittime di tali efferati reati. Molto spesso, chi si macchia di tali reati, e come giustamente asserisce il Mag. di Sorv. , "Non riconosce il valore della vita". Dall'altra parte, invero,la maggior parte dei ristretti riconosce la vera essenza della parola vittima quando anch'essi, assoggettati all' O.P. vigente, scorgono lacune nella c.d. "macchina della giustizia". Pertanto, accade che, invece di meditare sul reato per cui è stato imprigionato, il detenuto, acquisisce la cultura della "vittima" ed inesorabilmente quest' "alibi psicologico", come lo definisce giustamente il Pubblico Ministero, fa si che il detenuto quando esce ha un modo di ribellione verso la società e le istituzioni. Alla luce di ciò, appare evidente che, ancora oggi, la finalità della pena nella prospettiva costituzionale, appare del tutto utopica se non vengono apportate migliorie al sistema e alle strutture penitenziarie.
Allievo Vice Ispettore Sansone Dario Nucleo Venezia
Martedì 14 Giu 2022
Questo documentario desta particolare interesse dal quale si evince da molteplici punti di vista, ovvero quello della persona offesa dal reato, da colui che lo commette, dalla magistratura che indaga per far venire fuori quella che è una verità processuale, quali sono gli aspetti che caratterizzano ogni singola parte coinvolta. L’elemento che mi ha colpito maggiormente è IL TEMPO, cioè il passato, il presente e il futuro, e in particolare come viene metabolizzato e vissuto da colui il quale è l’autore del reato e dalla vittima che lo subisce. Per l’aggressore il tempo è utile per poter riflettere e avere coscienza di quanto accaduto e del male che ha provocato con l’azione posta in essere nei confronti della vittima. Egli quindi sfrutta il tempo della pena per una riflessione introspettiva e per una crescita personale, dando un senso alla reclusione. Per la vittima il tempo non aiuta a dimenticare e a superare l’evento, anzi alimenta il ricordo di ciò è stato, attraverso l’attesa scandita dal tempo necessario per il processo. In ogni caso l’evento e il tempo determinano un cambiamento nella persona offesa rendendola diversa da quella che era prima dell’evento e da quella che sarebbe potuta essere se l’evento non si fosse verificato.
Allievo V.I. II Verbania CUPO Damiano
Martedì 14 Giu 2022
Il documentario rispecchia in pieno la realtà dei fatti, tanta attenzione per i condannati e poca per le vittime. Tutti si adoperano per cercare di aiutare, reinserire ed evitare la recidiva, in pochissimi si chiedono cosa fare, come aiutare le vittime. Esemplari sono le parole del Giornalista quando parla dell'interesse per le vittime a partire dall'evento fino alla fine del processo.
Allievo v Isp Rega G
Martedì 14 Giu 2022
Secondo il mio punto di vista ogni evento reato o meglio criminoso ha vari elementi soggettivi che vanno guardati e valutati da tanti punti di vista specifici, sicuramente empatici ma con una base di vissuto in contesti analoghi, che possono portare alla percezione ma non a prevedere un evento reato. Il documentario è realizzato su molti punti di vista inerente i vari soggetti, reo, vittime e giudicanti che ci raccontano il loro vissuto.In particolare chi mi ha lasciato tanto pensare è stato il magistrato di sorveglianza il quale parlando dei giornalisti come persone senza scrupoli che interessa solo fare notizia, afferma che i detenuti uscendo dal carcere prima del fine pena dovrebbero avere una bassissima percentuale di recidività. Perchè una bassissima recidività, inerente a quale tipo di reato...., dovuta a cosa? Consapevole delle conseguenze, frutto di cosa? Del vissuto in carcere? Negli ultimi anni in carcere ci si approccia a varie lezioni di vita voluta in primis dai vari Boss che continuano ad avere potere anche all'esterno sul territorio di provenienza, assumendo manovalanza di immigrati giunti dal nord Africa esclusivamente come mano d'opera dello spaccio. Gli stessi una volta entrati in carcere, escono che sono molto più affinati e con nuovi contatti dove andare e fare una carriera criminale dedita allo spaccio e non solo. Purtroppo viviamo molte realtà distinte"piccoli mondi" ove chi ha a che fare con l'illegalità ha strumenti non consoni.
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